C’è una risposta a questa domanda? Se pensiamo che il Giappone è ormai da tempo considerato una fucina inesauribile di invenzioni all’avanguardia e teatro di innovative tecnologie urbane, la risposta che cerchiamo potrebbe essere assolutamente positiva.
Sappiamo bene che città come ad esempio Tokyo, Osaka e Fukuoka uniscono modernità tecnologica a tradizioni millenarie. Negli ultimi anni però si è fatto largo, nel design urbano, lo stile ispirato ad anime e manga.
Non a caso da Akira a Ghost in the Shell (entrambi manga cyberpunk degli anni 80), giusto per andare indietro nel tempo e citare due esempi precursori, le visioni futuristiche dei manga e dell’animazione nipponica hanno anticipato l’aspetto delle città moderne, tra neon, schermi digitali interattivi e architetture verticali (che poi è assolutamente una delle cose che ci piace del Giappone!).
Questo legame lo vediamo anche all’Expo di Osaka 2025, dove padiglioni e installazioni sono ispirati a iconografie tratte da serie come Psycho-Pass ed Evangelion, che in pratica trasformano la manifestazione in una sorta di set animato aperto al pubblico.

L’intento quindi non è solo mostrare le nuove tecnologie smart (robotica, intelligenza artificiale, energie rinnovabili), ma anche raccontare ed avvicinare i visitatori ad una visione di metropoli sostenibile e interattiva. Ovviamente la fusione tra anime e spazi urbani non si limita solo all’estetica. Quartieri come Akihabara e Odaiba sono un esempio di “città basata su anime e manga”: esistono spazi in cui segnaletica “kawaii”, statue di personaggi famosi e mascotte interagiscono costantemente con cittadini e turisti, riducendo la percezione della freddezza tecnologica.
Se vogliamo però sollevare una questione etica, rispetto al nostro solito trend scanzonato “tanukesco”, allora possiamo chiederci: fino a che punto la scelta di ambientazioni anime-friendly rimane inclusiva? Come si può evitare che un ambiente di nicchia (per quanto in evidente espansione) diventi esclusivo, confinando chi non mastica questo linguaggio in una condizione di marginalità sociale?
Probabilmente il rischio consiste nel fatto che la città del futuro diventi solo un parco a tema per appassionati e non un ambiente realmente pensato per tutti.
Dal mio punto di vista, di tanuki millenario, credo che questo si possa evitare facendo in modo che l’opera di “città del futuro” sia un’opera corale in cui tutti vengono coinvolti; quindi una fusione di cultura pop e partecipazione civica. Poi si sa, in ogni cosa ci va equilibrio e questa non fa eccezione; si tratta di bilanciare estetica basata su anime e manga, funzionalità e senso di appartenenza.